lunedì 15 luglio 2013
Il piccolo chimico
Dalla nascita di mio figlio ho iniziato, per forza di cose, a frequentare negozi di articoli per l'infanzia e ieri mi trovavo appunto in uno di questi regni del consumismo in fasce, dove però, neppure in mezzo a tiralatte e lenzuolini rosa, riesco a mettere da parte il mio spirito polemico. Così quando ieri sono entrata e ho visto sul tabellone dell'ingresso le indicazioni delle sezioni "giochi per bambini" e "giochi per bambine", mi sono immediatamente cadute le braccia.
Ecco, il sessismo dei giochi per l'infanzia.
Anyway, nel negozio di ieri, gironzolando tra gli scaffali, ho visto che naturalmente la sezione "per bambine" era dominata da rosa, principesse e zuccherosità, mentre quella per bambini era il regno di gormiti, costruzioni e astronavi.
Fin qui nulla di sorprendente, purtroppo.
Però quello che mi ha fatto veramente imbestialire è stato la scaffale dei cosiddetti giochi educativi:
il piccolo chimico, chi ha ritratto in copertina? Un bambino.
Chi campeggia sulla scatola del gioco dello scienziato in erba? Un bambino.
Chi dipinge al cavalletto con sguardo concentrato sul gioco per imparare la pittura? Un bambino.
Il messaggio mi sembra chiaro: care bambine, esercitatevi pure con il servizio da the di Barbie, perché è quello a cui siete destinate: il chimico, lo scienziato e l'artista sono roba da maschi.
Adesso che nessuno mi venga a dire che l'azienda X mette il maschio sulla scatola perché i fruitori di quel particolare gioco sono effettivamente solo maschi e quindi si tratta di una semplice esigenza di mercato, perché maschi e femmine non nascono con gusti diversi (infatti i giochi per la primissima infanzia non si differenziano per sesso), è la società che li incanala verso uno schema prestabilito e ne detta i desideri e bisogni, che poi loro fatalmente crederanno essere del tutto spontanei.
Se per anni ti vestiranno di rosa e regaleranno Barbie, molto probabilmente finiranno per piacerti entrambe e anche se capiterà di giocare con il piccolo chimico o costruire una casa con i Lego (non vige l'apartheid ludico, per fortuna) comunque sentirai che quelle cose sono un po' "da maschio" e quindi fondamentalmente estranee al tuo essere.
La stessa cosa vale, forse in modo meno violento ma ugualmente persuasivo, per i bambini: probabilmente molti genitori si preoccuperebbero seriamente se trovassero il propio figlio a cullare una bambola, perché da un maschio ci si aspettano comportamenti (e giochi) aggressivi, certi atteggiamenti che fanno trapelare emozioni ed empatia sono roba da donne.
Su questi temi è illuminante la lettura del libro "Dalla parte delle bambine" che, seppure per alcuni tratti un po' datato, mantiene una forte attualità nel descrivere la strisciante imposizione di modelli preconfezionati, nonché di repressioni delle fisiologiche spinte creative, relazionali a cui generazioni di maschi e femmine sono state sottoposte.
Quello che mi chiedo adesso è: come mi comporterò con mio figlio? Se mi chiedesse una bambola non gliela negherei, però sono sincera, non credo che da soli si sia in grado contrastare un condizionamento culturalmente così radicato di cui io per prima mi sento vittima.
Credo, però, che il primo passo per liberarsene sia esserne consapevoli, allenare costantemente il proprio spirito critico a riconoscerne i segni più permeanti, che probabilmente sono quelli ritenuti comunemente più innocui e per questo meno contrastati.
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