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mercoledì 25 luglio 2012

Il referendum anticasta e l'irresistibile tentazione del populismo

In questo periodo si parla molto, almeno on line, della raccolta firme per due referendum "anticasta", entrambi mirati a ridurre gli stipendi dei parlamentari.
In realtà ci sono due proposte di referendum abrogativo in ballo:
una dell'Unione Popolare che chiede l'eliminazione della diaria per i parlamentari, per un risparmio di 39 milioni di euro l'anno, a fronte di una spesa per la consultazione di oltre 300 milioni di euro, ottimo rapporto costo/benefici, direi!
La seconda proposta è più articolata e prevede l'abolizioni di molte più spettanze economiche ed è promosso dal Comitato del sole (ma che nome è??).
Già da diverso tempo sono emerse le magagne di queste campagne referendarie: in sostanza tutte le firme raccolte sarebbero non valide ed inoltre non sarebbe costituzionalmente possibile lo svolgimento dei referendum prima del 2014. Le fonti di questa notizia sono numerose, basta scrivere referendum anticasta su Google è spuntano decine di articoli sulla "bufalosità" della raccolta firme.
Andando oltre queste questioni, che già la dicono lunga sulla preparazione (se non sulla buona fede) dei comitati promotori, la mia riflessione vuole essere sull'utilità reale di un'iniziativa del genere. L'impressione che è quella di operazioni pilotate per avallare il moto di indignazione del momento, che parte dal celeberrimo "La Casta" di Stella/Rizzo, una tendenza a riversare sulla classe politica e sui suoi privilegi (certamente odiosi, nessuno lo nega) la colpa del deficit pubblico, della crisi e quasi di ogni problema del nostro martoriato Paese. 
E' una facile tentazione in un momento duro come questo identificare un nemico comodo e con un nome ed un cognome ed addossargli tutte le responsabilità. 
La realtà invece è che il privilegio della classe politica è solo l'ultima e più riconoscibile manifestazione di una tendenza italiota ad anteporre il tornaconto personale al bene comune, un malcostume che dal Parlamento arriva ai fantastipendi dei manager pubblici, passando dai contributi all'editoria, dalle opere pubbliche inutili ed onerose, giù fino al dipendente pubblico da 1200 euro al mese che si mette in malattia, senza essere malato, per prolungarsi le ferie. Tutto sintomo dello stesso male, tutto derivante da un peccato originale fatto di inesistente senso civico ed esaltazione del furbo a discapito dell'onesto.
Volendo rimanere sul concreto, invece di un referendum del genere, perché non porre un tetto massimo nelle retribuzioni pubbliche, che riguardi quindi non solo i parlamentari e che faccia sì che non sia più possibile che l'AD di un oscuro Ente Pubblico italiano guadagni più di Obama.
Ho notato poi che la tentazione del populismo non riguarda solo noi, ma si è espansa a macchia d'olio nella sempre più in crisi Europa, ecco una chicca pubblicata da un amico spagnolo su facebook: è proprio vero che l'erba del vicino è sempre più verde....



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